Il Covid-19 manda in crisi le emittenti radio, che chiedono aiuto

Abstract (English)

It is a cry of pain and a heartfelt appeal that arises from 132 radio publishers that were surveyed on the consequences of the pandemic by Radio Reporter blog. In the midst of an emergency, they enhanced information, promoted fundraising and played a role of social cohesion. But government aid is overdue and two out of three radio stations (65%) ask for further immediate and non-refundable aid (40%). The drop in advertising, moreover, is dramatic (-73%) and painful cuts were necessary to make ends meet, dismissing collaborators and asking for layoffs for part of the staff. To assess the impact of the crisis, Radio Reporter asked specific questions on these aspects and asked if to immediately reduce business costs, it would make sense to halve the power of the transmitters: energy consumption absorbs 45% of a radio stations budget. A solution that in addition to being cost-free for the government, would improve the quality of listening (reducing interference) and reduce electromagnetic pollution. The results of the investigation are published in Italian, to facilitate consultation by publishers and listeners.

article (In italiano)
Le antenne sulla Torre Breda, in via Casati a Milano. Fotografate dal superattico al 29° piano, aperto eccezionalmente al pubblico l’11 marzo del 2019
Foto Fabrizio Carnevalini

È un grido di dolore e un appello accorato quello che si leva da 132 editori radiofonici interpellati sulle conseguenze della pandemia. In piena emergenza, hanno potenziato l’informazione, promosso raccolte fondi e svolto un ruolo di coesione sociale. Ma gli aiuti del governo sono in ritardo: dopo la promessa (cancellata) di 40 milioni di euro in febbraio, ne sono stati stanziati 50 il 19 maggio nel “Decreto rilancio” (complessivi, però, per radio e tv). L’operato del governo e le regole con le quali verranno distribuiti i fondi, però, viene approvato solo da un editore: due radio su tre (65%) chiedono ulteriori aiuti, immediati e a fondo perduto (40%). Il calo della pubblicità, del resto, è drammatico (-73%) e per far quadrare i conti sono stati necessari tagli dolorosi, congedando collaboratori e chiedendo la cassa integrazione per una parte del personale. Per valutare l’impatto della crisi abbiamo posto domande precise su questi aspetti e chiesto se per ridurre immediatamente i costi aziendali avrebbe senso dimezzare le potenze dei trasmettitori: i consumi di energia assorbono il 45% delle risorse di un’emittente, quindi i risparmi sarebbero superiori a un quinto del bilancio. Una soluzione che oltre ad essere a costo zero per il governo, migliorerebbe la qualità dell’ascolto (riducendo le interferenze) e abbatterebbe l’inquinamento elettromagnetico. 

Ha risposto una radio su sei

L’immagine elaborata da FMLISTFMSCAN mostra la collocazione dei trasmettitori radiofonici nel mondo: sono 184.950, comprendendo quelli in onde medie (14.980), mentre le radio sono 58543 

I 132 editori del sondaggio rappresentano 101 emittenti commerciali, quasi una su sei (sono 624 per l’Agcom); di queste, 72 hanno una copertura locale, 22 regionale, cinque multiregionali e due nazionale. Ci sono poi 31 stazioni comunitarie delle 343 esistenti: va considerato, però, che molte non dipendono dalla pubblicità, come molte delle 184 di area cattolica associate al Corallo e quelle si autofinanziano, come le 33 radio evangeliche censite da FMLIST-FMSCAN (database mondiale della radiotv).

Bisogna agire in fretta: c’è chi sta per gettare la spugna

L’appello drammatico di una radio del sud prossima alla chiusura: nessuna delle 500 aziende alle quali ha proposto inserzioni a prezzi modici (30€) ha risposto
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Il malessere è emerso da diversi editori, mentre presentavamo l’inchiesta: erano dubbiosi, sfiduciati e di stavano seriamente valutando di chiudere. E dal sud ci è giunta una lettera che testimonia la drammaticità della situazione (che riproduciamo qui). Tagli drastici e movimenti nell’etere, del resto, già si intravedono: come interpretare la sospensione dei programmi della ligure Radio Babboleo News, che da fine maggio ripete rete principale? O l’acquisto da parte di m2o di tre canali della pugliese Radio Giulia? Ma come abbiamo spiegato in un recente articolo le frequenze si sono svalutate e cederle non è facile, a meno che siano in zone dove hanno mantenuto valore, come in Trentino Alto Adige, dove un editore ci ha detto di essere in trattative con un network per cedere l’intera rete e chiudere.

Persi i tre quarti della pubblicità (e degli incassi)

Con la riduzione delle attività lavorative, tre quarti delle aziende hanno ridotto o sospeso le inserzioni pubblicitarie 
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Sul crollo degli spot sono tutti d’accordo: in media è stato del 73%. A risentirne meno sono le 22 commerciali di ambito regionale (-70%) e le 31 comunitarie (-71%). Va peggio per i network e le multi regionali (-80%). Ma questa è solo la punta dell’iceberg: dalle risposte degli editori emerge anche la preoccupazione per la crisi di liquidità dei clienti, che non riescono a pagare le fatture degli spot già messi in onda. Ritornare alla normalità non sarà facile, anche perché la sospensione degli eventi e dei concerti fa mancare un’altra fonte di finanziamento importante.

Superstation regine dell’informazione

Le notizie sono stati tra i programmi più seguiti, soprattutto nella prima fase dell’emergenza
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Se il potenziamento degli spazi informativi è stato in media del 54% (per commerciali e comunitarie), sono le stazioni multiregionali ad aver puntato maggiormente sulle news, incrementandole del 70%, contro il 45% dei network nazionali. Uno sforzo organizzativo che ha spinto al massimo i motori di realtà grandi e piccole, che hanno investito risorse pur private del carburante della pubblicità. 

Così si è proceduto ai tagli, soprattutto nelle grandi strutture

Per far quadrare i conti sono state sospese collaborazioni e chiesti gli ammortizzatori sociali
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Se gli editori hanno congedato, in media, un collaboratore su tre (-34%), i risparmi sui costi del personale si sono fatti sentire soprattutto nelle aziende più strutturate: superstation (-48%) e network (-85%), mentre per le comunitarie l’impatto è stato dimezzato (-16%). Analogamente, la cassa integrazione è stata richiesta per un lavoratore su tre (-31%), con punte del -47% per le radio a copertura regionale, e ancor più elevate per superstation (-48%) e nazionali (-50%). A risentirne meno sono state le comunitarie (-18%), anche perché vengono gestite con meno di un dipendente (0,72): si basano sui collaboratori (5 in media) e soprattutto sul volontariato (7 persone, tra quelle interpellate).

L’energia? Un salasso, soprattutto per le comunitarie

Per farsi ascoltare si è fatto ricorso a impianti sempre più potenti: nell’immagine, quelli di Monte Brione, a Riva del Garda (TN)
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Nel nostro paese si usano potenze di trasmissione troppo elevate. Un’eredità della guerra dei watt terminata nel 1990, che però pesa sempre di più sul budget degli editori (45%). Un valore che fotografa bene la situazione delle 22 radio commerciali regionali della nostra inchiesta (43%), che dispongono di una decina di ripetitori. Va un po’ meglio alle realtà più piccole (38%), con una media di quattro impianti, mentre per le comunitarie (con due frequenze) rappresenta un fardello pesante: assorbe il 64% delle risorse, anche perché i bilanci di queste strutture sono più magri (il 96% incassa meno di 50.000 euro) per i limiti di affollamento pubblicitario previsti dal tipo di concessione. Più le dimensioni aziendali crescono, invece, meno la componente energia è rilevante: si ferma al 25% per le multi regionali, al 20% per i network, a fronte di bilanci che, per entrambe queste categorie, possono superare il milione di euro. 

Basterebbero 3dB

Una buona antenna moltiplica la potenza, alleggerendo la bolletta, ma richiede investimenti importanti. Così in passato, spesso si è puntato su trasmettitori più potenti, una “scorciatoia” che adesso si paga 
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Perché allora non ridurre le potenze di 3dB (dimezzandole), liberando risorse preziose in momenti come questi? L’idea, rilanciata in marzo da Lorenzo Belviso, editore delle emittenti pugliesi Radio Mi Piaci e Radio Popizz, consentirebbe risparmi superiori al 40%. Purtroppo la legge impedisce di ridurre la potenza (per alleggerire i costi, un editore ha detto di avere spento impianti minori dichiarando che sono in manutenzione o in avaria), ma in situazioni di emergenza, come quelle alle quali ci ha messo di fronte la pandemia, un dimezzamento generalizzato “da decreto” potrebbe fare comodo a molti. E a costi zero per lo stato. Apparentemente, il 52% degli editori interpellati non è interessato al “taglio” dei watt, ma si tratta di una media: dai dati emerge che i più favorevoli sono i network (100%), seguiti dalle comunitarie (61%) e dalle piccole commerciali (55%). In equilibrio le regionali (50%), mentre le superstation sono per lo status quo (80%). 

Consumare meno, abbassando tutti

Un particolare di una delle torri di trasmissione di Monte Brione a Riva del Garda (TN)
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Su come ridurre le potenze, il 64% degli editori interpellati sarebbe favorevole solo se la riduzione fosse obbligatoria per tutti, escludendo gli impianti di potenza fino a 100 Watt (52%) impiegati di solito per illuminare le zone d’ombra nelle aree montane. Riguardo alla durata delle misure, la maggioranza (43%) preferirebbe che fosse per sempre

Tante idee per ripartire. O l’etere verrebbe desertificato

Tra le tantissime idee, abbiamo selezionato dieci proposte per salvare la radiofonia
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Con 132 pareri, lunghi fino a 2000 caratteri, potemmo scrivere un libro. Dato che la risposta era libera, abbiamo individuato le tendenze trasformandole in proposte da indirizzare alle associazioni e al governo. Le radio commerciali si sentono mancare il terreno sotto i piedi. Dalle circa 5000 esistenti quando fu varata la legge Mammì, nel 1990, ora sono meno di mille: 967, come ci ha comunicato l’Agcom. Avrebbero bisogno di aiuti immediati, anche quelle che riceveranno una parte dei 50 milioni di euro (da dividere con le tv). Chiedono di ridiscutere le norme attuali (65%), erogando in fretta “soldi veri” e a fondo perduto (40%). Da distribuire “a pioggia” (11%), o a chi ha fatto informazione (6%) come alle piccole realtà locali (6%). Poi ci sono i sostegni indiretti: agevolazioni per l’energia elettrica (17%, quasi tutti con la richiesta di abbattere le tariffe del 50%); riduzione dei contributi per il personale assunto (12%); incentivi per chi fa pubblicità radiofonica (5%) ma riservati alle radio (il “decreto rilancio” li prevede anche per le tv, diluendo l’efficacia della misura); convogliare la pubblicità istituzionale sulle piccole realtà locali che si sentono abbandonate (5%). Qualcuno suggerisce ricette semplici, come tagliare le tasse (6%) e la burocrazia (5%). Altrimenti l’alternativa è che gran parte delle voci si spengano. Per sempre.

Fabrizio Carnevalini

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2 Replies to “Il Covid-19 manda in crisi le emittenti radio, che chiedono aiuto”

  1. il circuito “Voce della Speranza” con 11 emittenti è fortemente favorevole alla riduzione della potenza di trasmissione dei trasmettitori per ridurre di 3db la potenza in antenna.
    Radio Voce della Speranza trasmette da Conegliano, Magenta, Bologna, Forlì, Firenze, Nuoro, Roma, Gaeta Palermo, Catania e Sciacca.

    1. Buongiorno Benini,
      vi ringraziamo per il vostro sostegno. Come giornalisti abbiamo riportato l’attenzione sul problema dello spreco di energia, che da anni toglie risorse alle radio.
      Spetta però alle associazioni farsi portavoce delle istanze della vostra categoria presso le istituzioni. Da parte nostra cercheremo di dare voce alle tante radio che come voi ci hanno ringraziato, non sul blog ma inviandoci delle email. In settembre pubblicheremo lo studio che quantifica gli sprechi, in milioni di euro. Chissà che qualcosa non cambi e che anche le radio non legate alle associazioni riescano in qualche modo a far sentire la loro voce.

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